mercoledì 16 ottobre 2024

Eccoci al ciao finale della prosa,

 


La giornata oggi ha l’aria di un autunno stanco, dove le foglie cambiano colore con una dolcezza rassegnata, come se sapessero che anche la loro bellezza è destinata a cadere. Il vento porta via il rosso, l’oro, il marrone di ciò che è stato, mentre la vita cerca di farsi strada dentro di me, anche se ormai sembra rimasta così poca forza. È come se ogni giorno fosse un passo faticoso verso un nuovo tentativo, un altro tentativo di far camminare un corpo che ha indossato troppe armature, che è stato riparato così tante volte da essere diventato fragile.
Da qui le montagne sembrano quasi vicine, nascoste tra le nubi che appaiono morbide come coperte, ma non c’è calore in quella visione, solo una tristezza ovattata. Attorno, il via vai dei parenti, le voci che sussurrano preoccupazione nei corridoi vasti e silenziosi, pavimentati con quel linoleum che conosco ormai a memoria, un suono che accompagna ogni passo, come un ritornello che non ti abbandona mai. Le sedie nei lunghi corridoi, come piccoli rifugi improvvisati, e quelle vetrate che lasciano intravedere il verde del giardino da una parte,con l’ingresso del pronto soccorso e le montagne dall’altra. Tutto sembra lontano, come se anche il mondo esterno fosse diventato un’eco sbiadita di una vita che osservi ma a cui non appartieni più.

Le cuffie nelle orecchie, mi permettono di non aver vicini forse credono che tu non senta. E forse hanno ragione, non sento più davvero.Sono qui ma allo stesso tempo, non ci sono. E quando le infermiere mi vengono a cercare e mi sgridano, mi dicono di tornare a letto, la loro preoccupazione sembra così distante, così vuota, come se appartenesse a un’altra persona, a un altro tempo. Non importa più, non delle loro parole, non di quel letto che ti accoglie come una promessa che non vuoi più ascoltare .La sera arriva, e forse l’unico sollievo è il sorriso di chi sa, dove sono,di chi ancora ti racconta la vita fuori, quella vita normale che ormai senti così distante, fatta di problemi quotidiani che a te sembrano così irrilevanti. Le ore passano, lente, diverse da Pisa, dalla Svizzera, da Bologna o Rimini. Qui c’è una calma strana, una calma che non parla, perché forse non c’è più nulla da dire. Mi sento un involucro vuoto, un’anima che si è allontanata, mentre il corpo attende, attende di scoprire cosa ci sarà dietro quelle porte di una sala operatoria che ti aspetta, come se fosse una strana ironia. Forse sarebbe più bello vedere una mostra di Van Gogh, perdersi in quei colori vibranti che, come lui raccontano di dolori profondi, di cuori che hanno amato troppo e resistito troppo a lungo.

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