venerdì 13 dicembre 2024

Il silenzio

 



GHOSTING: IL SILENZIO CHE FERISCE E LASCIA COLPA


Ci sono silenzi che curano e silenzi che uccidono. Alcuni sono pause necessarie, spazi dove riprendere fiato, riflettere, proteggersi. Ma altri sono tagli. Sono armi. Silenzi che non nascono dalla pace, ma dalla rabbia. È un modo per dire: “Ti annullo. Ti ignoro. Ti lascio nel vuoto. Voglio farti male”.

È facile sottovalutare un silenzio. Lo chiamiamo “assenza”, “distanza”, ma raramente lo vediamo per quello che è: una forma di comunicazione carica di significati. Un muro alzato con precisione, lasciando l’altro a bussare senza mai avere una risposta. Un modo per spegnere ogni dialogo, soffocare ogni spiegazione.

Chi sceglie questo silenzio spesso lo fa per punire. Non ha parole, perché non vuole averne. Non cerca una soluzione, ma vuole che tu resti lì, fermo, a chiederti cosa hai fatto, cosa sei per meritare il nulla. È una vendetta sottile, una rabbia che non esplode ma implodendo ti consuma.

Ma quel silenzio parla di chi non sa esprimersi, di chi ha paura di guardarti negli occhi perché dovrebbe guardare anche dentro di sé. E noi? Noi restiamo lì, a interpretare quel vuoto. A trasformare l’assenza in colpa, il mutismo in giudizio. Ma forse, la domanda che dovremmo porci non è “Perché mi ignora?” ma “Perché accetto di farmi ferire così?”

C’è una grande differenza tra il silenzio che chiude e quello che protegge. Il primo punisce, il secondo salva. Il primo è un’arma, il secondo è un confine. E sta a noi imparare a riconoscerli, a capire quando un silenzio è una porta che si chiude in faccia e quando è una scelta di amore per sé stessi.

Il vero potere non è nel silenzio che punisce. È in chi trova la forza di rispondere a quel vuoto con la propria voce. Con la scelta di non restare fermo davanti a una porta chiusa, ma di costruire altrove, dove le parole sono ponti, non armi.

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